Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
130 | dei doveri dell’uomo. | [1841-1860] |
tori; darebbe forma legale all’oppressione delle minoranze; esilierebbe l’operaio malcontento da ogni possibilità di lavoro, e sopprimerebbe ogni necessità di progresso spegnendo ogni rivalità di lavoro, ogni stimolo alle invenzioni.
L’Associazione tentata timidamente e in circostanze sfavorevoli in Francia negli ultimi venti anni, poi in Inghilterra e nel Belgio, e coronata di successo dovunque fu tentata con fermo volere e spirito di sagrificio, contiene il segreto di tutta una trasformazione sociale che dovrebbe, in virtù delle vostre tradizioni e dell’iniziativa di progresso sociale che fu sempre in voi, compirsi in Italia. E questa trasformazione, emancipandovi dalla schiavitù del salario, avviverebbe a un tempo, a pro di tutte le classi, la produzione e migliorerebbe lo stato economico del paese. Oggi, il capitalista tende generalmente a guadagnare quanto più può per ritirarsi dall’arena del lavoro: sotto l’ordinamento dell’associazione, voi non tendereste che ad accertare la continuità del lavoro, cioè della produzione. Oggi, il capo, direttore dei lavori, fatto tale non da una speciale attitudine ma dal suo trovarsi fornito di capitali, è spesso improvvido, avventato, incapace: una associazione, diretta da delegati, invigilata da tutti i suoi membri, non correrebbe rischi siffatti. Oggi, il lavoro è spesso diretto verso la produzione d’oggetti superflui, non necessari: mercé l’ineguaglianza capricciosa e ingiusta delle retribuzioni, i lavoranti abbondano in un ramo, fanno d’attività e difetto in un altro; l’operaio, limitato a una mercede determinata, non ha motivo per consacrare all’opera sua tutto lo zelo del quale è capace, tutta l’attività colla quale ei potrebbe moltiplicare o migliorare i prodotti.