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126 dei doveri dell’uomo. [1841-1860]

di dovere e le forze e la capacità ricevute, senza merito alcuno, dalla natura. O l’eguaglianza sarebbe relativa e calcolata sui bisogni diversi; e non tenendo conto della produzione individuale, violerebbe i diritti di proprietà che il lavorante deve avere per i frutti del suo lavoro.

Poi, chi sarebbe arbitro di decidere intorno ai bisogni d’ogni individuo? Lo Stato?

Operai, fratelli miei, siete voi disposti ad accettare una gerarchia di capi padroni nella proprietà comune, padroni dello spirito per mezzo d’una educazione esclusiva, padroni dei corpi per mezzo della determinazione dell’opera, della capacità, dei bisogni? Non è per questo il rinnovamento dell’antica schiavitù? Non sarebbero quei capi trascinati dalla teoria d’interesse che rappresenterebbero, e sedotti dall’immenso potere concentrato nelle loro mani, fondatori della dittatura ereditaria delle antiche caste?

No; il Comunismo non conquista l’eguaglianza fra gli uomini del lavoro: non aumenta la produzione — ch’è la grande necessità dell’oggi — perché fatta sicura la vita la natura umana, come s’incontra nei più, è soddisfatta, e l’incentivo a un accrescimento di produzione da diffondersi su tutti i membri della società diventa sì piccolo che non basta a scotere le facoltà1; non migliora i prodotti; non conforta il progresso nelle invenzioni; non sarà mai aiutata dalla incerta, ignara direzione collettiva dell’ordinamento. Ai mali che affaticano i

  1. Fu calcolato che se, su cento lavoranti, un lavorante producesse per cento franchi in un anno al di là della produzione media, ei raccoglierebbe a suo pro un millesimo per anno, tre centesimi ogni tre anni. Chi può chiamare questo un eccitamento alla produzione?