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[1841-1860] | dei doveri dell’uomo. | 125 |
la vita morale, la vita intellettuale sono cancellate, e con esse l’emulazione, la libera scelta del lavoro, la libera associazione, gli stimoli a produrre, le gioie della proprietà, le cagioni tutte che inducono a progredire. La famiglia umana è, in quel sistema, un armento al quale basta essere condotto ad una sufficiente pastura. Chi tra voi vorrebbe rassegnarsi a programma siffatto?
L’eguaglianza è conquistata, dicono. Quale?
L’eguaglianza nella distribuzione del lavoro? È impossibile. I lavori sono di natura diversa, non calcolabile sulla durata o sulla somma di lavoro compita in un’ora, ma sulla difficoltà, sulla minore o maggiore spiacevolezza del lavoro, sul dispendio di vitalità che trascina con se, sull’utile conferito da esso alla società. Come calcolar l’eguaglianza di un’ora di lavoro passata in una miniera, o nel purificare l’acqua corrotta di una palude, con un’ora passata in un filatoio? La impossibilità di siffatto calcolo è tale, che ha suggerito a taluno tra i fondatori di sistemi l’idea di far che ciascuno debba compiere alla volta sua un certo ammontar di lavoro in ogni ramo di utile attività: rimedio assurdo che renderebbe impossibile la bontà dei prodotti senza giungere a sopprimere l’ineguaglianza tra il debole ed il robusto, tra il capace ed il lento nell’intelletto, tra l’uomo di temperamento linfatico e l’uomo di temperamento nervoso. Il lavoro facile e gradito all’uno è grave e difficile all’altro.
L’eguaglianza nel riparto dei prodotti? È impossibile. O l’eguaglianza sarebbe assoluta e costituirebbe una immensa ingiustizia, non distinguendo tra i bisogni diversi, il risultato dell’organismo, nè tra le forze e la capacità acquistate per un senso