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116 | dei doveri dell’uomo. | [1841-1860] |
noso; e che la formola ciascuno per sè, libertà per tutti è sufficiente a creare a poco a poco un equilibrio approssimativo d’agi e conforti fra le classi che costituiscono la Società. Libertà di traffici interni, libertà di commercio fra le nazioni, abbassamento progressivo delle tariffe daziarie specialmente sulle materie prime, incoraggiamenti dati generalmente alle grandi imprese industriali, alla moltiplicazione delle vie di comunicazione, alle macchine che rendono più attiva la produzione: questo è quanto, secondo gli economisti, può farsi dalla Società: ogni suo intervento al di là è, per essi, sorgente di male.
Se ciò fosse vero, la piaga della miseria sarebbe insanabile; e Dio tolga, o fratelli miei, che io possa mai gittare, convinto, come risposta ai vostri patimenti e alle vostre aspirazioni, questa risposta disperata, atea, immorale. Dio ha statuito per voi un migliore avvenire, che non è quello contenuto nei rimedii degli economisti.
Quei rimedi non mirano infatti che ad accrescere possibilmente e per un certo tempo la produzione della ricchezza, non a farne più equa la distribuzione. Mentre i filantropi contemplano unicamente l’uomo e s’affannano a renderlo più morale senza farsi carico d’accrescere, per dargli campo a migliorarsi, la ricchezza comune, gli economisti non guardano che a fecondare le sorgenti della produzione senza occuparsi dell’uomo. Sotto il regime esclusivo di libertà ch’essi predicano e che ha più o meno regolato il mondo economico nei tempi a noi più vicini, i documenti più innegabili ci mostrano aumento d’attività produttrice e di capitali, non di prosperità universalmente diffusa: la miseria delle classi operaie è la stessa di prima. La libertà di