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La vittoria è nostra: e noi lo diciamo con profondo convincimento, dall’esilio, e quando la reazione monarchica sembra più insolentemente secura. Che importa il trionfo d’un’ora? che importa se, concentrando tutti i vostri mezzi d’azione, giovandovi di tutti gl’inganni, traendo partito da gelosie e pregiudizi di razze che anche oggi, per poco, rimangono, seminando l’egoismo la diffidenza e la corrutelaFonte/commento: vedi pag. 15, avete represso i nostri moti e restituito l’ordine antico di cose? Potete voi restituire le credenze in quell’ordine? O presumete di mantenerlo lungamente colla sola forza, e senz’appoggio di fede? Paragonate i moti italiani degli ultimi due anni con quei di ventotto, di diciotto anni addietro: paragonate le insurrezioni popolari di Sicilia e di Lombardia coi moti, fondati sull’aristocrazia o sulla milizia, del 1820 e 21: — le resistenze di Venezia, di Bologna e di Roma, colle fughe e le capitolazioni del 1831. I nostri giovani hanno imparato a morire; però, l’Italia vivrà. Vinceste, colle arti di Luigi Filippo, l’insurrezione monarchico-costituzionale del 1830; e noi, popolo, vi abbiamo risposto colla insurrezione repubblicana del febbraio 1848. Vinceste, giovandovi d’inganni atroci, in Gallizia; e noi vi rispondemmo coll’Ungheria. Vinceste or ora l’Ungheria, e vi risponderanno, forse tra non molto, i popoli Slavi. E i moti germanici? e Vienna? e i milioni d’operai chiedenti lavoro e pane a governi spolpati dallo spionaggio, dalla necessità di corrompere coll’oro, dagli eserciti permanenti, e da guerre intestine, rinascenti, continue? Minacciati, minati per ogni dove, manterrete per sempre l’Europa in stato di assedio?

La sete d’un potere prolungato anche per pochi giorni, acceca i principi: ma nessuno oggimai, da essi in fuori, può credere che sessantanni di lotta ostinata siano l’opera d’una setta, d’una fazione; che i popoli non possano soffrir tanto senza avvilirsi, e non essere chiamati a vincere quando che sia; che la guerra momentaneamente sopita non debba riardere più feroce quanto più contrastata, fino a che non sia raggiunta la meta. Una grave responsabilità pesa sugli uomini che, per paure inesplicabili, avversano il moto ascendente delle moltitudini, o si tengono inerti in disparte quando i loro fratelli combattono. Ricordino che Solone sentenziava d’infamia coloro che, in una sedizione, non si appigliavano a parte alcuna, che questa non è sedizione, ma