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tratto seguì un avvenimento, le cui conseguenze fecero variare i miei timori, i miei calcoli, le mie speranze: voglio dire il grande incendio, che si manifestò nelle prigioni del Sant-Uffizio verso la fine del passato secolo.
Fu la notte del 29 novembre del 17**, che occorse cotesto straordinario avvenimento. Al primo avviso che la fiamma si propagava rapidamente, e che l’edifizio era in pericolo, fu ordinato di trasportare i prigionieri in un gran cortile per esser ivi guardati! Fummo fatti sortire tranquillamente dalle nostre celle; ciascheduno di noi fu condotto in mezzo a due guardie, che non ci usarono alcuna violenza, anzi ci assicuravano che se il pericolo diventasse imminente ad ognuno sarebbe stato lecito di cercare il proprio scampo. Il quadro che noi formavamo era degno di tenere occupato il pennello di un valente artista. Il nostro cammino era rischiarato dalla luce delle fiaccole, la quale indebolivasi a misura che le fiamme si elevavano sulle nostre teste, e si ravvolgevano in