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tempo, cui non posso nominare una occupazione. Aveva meco stesso considerato che un’ora si forma da sessanta minuti; ed ogni minuto da sessanta secondi, onde mi venne l’idea, che avrei potuto marcare il tempo con la medesima esattezza di un orologio, e calcolare in tal guisa la durata della mia detenzione. Incominciava dunque a contare fino a sessanta; alcuna volta mi si affacciava qualche dubbio sul timore di contare con maggior celerità di un orologio, e quasi mi spiaceva di non essere insensibile quanto esso, per non avere alcun motivo da affrettare il corso del tempo, e perciò proseguiva a contare, ma con maggiore lentezza. Sovente il sonno mi sorprendeva in quell’esercizio, il quale io forse a tale oggetto aveva adottato; ma appena risvegliato incominciava di nuovo a contare con impegno maggiore. Per tal modo sdraiato sulla stuoia io computava e misurava il tempo, intanto che era affatto privo della vista consolante dello spuntare e tramontare del sole, di tutta la freschezza della