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ciava la sacra immagine, che la mia bocca provava pena a trovare nell’oscurità.
Aveva ancora delle altre occupazioni, meno sublimi bensì, ma non meno per me necessarie. I rettili, che si aggiravano per quella caverna, in cui io era stato rinchiuso, mi costringevano ad un combattimento perpetuo, noioso e ridicolo. La mia stuoia era situata in mezzo del campo di battaglia; se io la muoveva di luogo, essi mi seguivano; se la avvicinava alla muraglia, mi risvegliava sovente con orrore sentendo le loro gonfie e frigide membra percorrere tutto il mio corpo. Io li percuoteva, cercava di spaventarli alzando la voce, ovvero di armarmi contro di essi della stuoia medesima, che mi serviva di guanciale; la mia maggior cura però era quella di impedire che si avvicinassero al mio pane ed alla brocca dell’acqua. Immaginai mille precauzioni triviali, quanto inutili, le quali se non altro servivano per tenermi occupato.
Mi rimane di parlarvi di un passa-