vedeva esposto a tutto il rigore della monastica disciplina. Stava in orecchio per ascoltare ogni passo; il rumore di una porta che si aprisse o si chiudesse mi faceva tremare. Così passarono parecchie ore nella tortura della incertezza, ma non condussero alcun’avvenimento; nessuno a me si avvicinò nel corso della notte. L’indomani era il giorno fissato per la generale confessione: io andai al coro, presi il mio posto consueto e guardava sott’occhio or l’uno or l’altro; mi sembrava che gli sguardi di tutti fossero verso me rivolti e diretti, e che la bocca di ognuno tacitamente dicesse: Eccolo là cotesto uomo! Io desiderava ardentemente che la procella la quale si andava addensando sul mio capo, scoppiasse una volta; giacchè è molto meglio sentire il fragore del tuono, che stare espiando la nube gravida dell’elettrico fuoco: la procella però non iscoppiò per allora, e quando i doveri della giornata furono adempiuti, mi ritrassi nella mia cella pensieroso, inquieto, irresoluto.