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ricusava. Se per la comunità ricorreva una giornata di penitenza, io la faceva con esso loro; se un giorno di qualche ricreazione straordinaria, io non ne approfittava. Non dimandava mai di esser dispensato dal recitare in coro il mattutino con gli altri la notte o dal digiunare nelle vigilie. Al refettorio io guardava un profondo silenzio, e quando qualche volta andava a passeggiare in giardino, io era sempre solo. Non pensava, non agiva, non vivea, se la vita consiste nel rendersi conto della esistenza ed agire in forza della propria volontà!

Il calore in quell’anno era stato eccessivo, ed è perciò che nel convento si diffuse una malattia epidemica; ogni giorno andavano due o tre di noi alla infermeria, e quelli che avevano meritato delle leggiere penitenze per piccole mancanze commesse, ottenevano per modo di permutazione il permesso di assistere i malati. Io feci di tutto per essere nel numero di cotesti, ed aveva anco risoluto, se bisognava, di commettere, appositivamente qualche leggiera col-