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Nel convento mi erano usati i più grandi riguardi. Un figlio, il primogenito del duca di Moncada che pronunziava i suoi voti, era un trionfo per quello stabilimento. Mi fu dimandato quali erano i libri, che avrei desiderato di leggere; risposi: Quelli che più vi piaceranno. Vedevano che io era amante de’ fiori, e la mia camera era riempiuta di vasi di porcellana contenenti i più brillanti prodotti del loro giardino e rinnovati giornalmente. Io era amante di musica, e mi fornirono di un superbo piano-forte. A tutti questi contrassegni d’indulgenza e benevolenza io corrispondeva, però con una ingratitudine ben lontana dal mio carattere. Non leggeva giammai i libri, che mi fornivano, non faceva alcun conto de’ fiori co’ quali ornavano la mia cella, e non poneva mai le mani sul piano-forte.

Il vecchio celibe veniva a trovarmi sovente, ed un giorno che mi pressava a coltivare i miei talenti per la pittura e la musica, io non gli risposi che con la mia apatica monotonia: