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stà, che in venti e più pagine Melmoth potè a mala pena leggere quindici linee, quantunque tanta cura vi ponesse, quanta uno studioso antiquario porrebbe a svolgere ed interpetrare un rotolo trovato nelle rovine di Pompei o di Ercole; locchè servì piuttosto ad accrescere, che a soddisfare la sua curiosità. In esso non si parlava più di Melmoth; e si vedeva soltanto che Stanton terminò col sortire dalla sua funesta prigione, e che non cessò di andare in traccia dell’ente misterioso, che formava il tormento della sua vita. Visitò egli di nuovo il continente, ritornò in Inghilterra; i suoi viaggi, le sue ricerche, le sue dimande, il suo oro, tutto, in una parola, fu inutile. Era destinato, che non dovesse più riscontrare, pel corso della sua vita, l’oggetto nel qual si era per tre volte abbattuto in circostanze cotanto straordinarie. Finalmente però gli venne fatto di scoprire, ch’egli era nato in Irlanda, onde risolvette di andarvi; nè le sue ricerche in quel regno sortirono un effetto migliore.