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e spesso consumava ancora il suo pa sto mezzo sdraiato su di quello: ricusava di farsi rader la barba o di mutarsi la biancheria, e quando un raggio di sole veniva a passare a traverso la inferriata della solitaria sua cella, egli si rigirava sul suo letto di paglia e si chiudea gli occhi per non vederlo.

Un tempo quando l’aria penetrava fino a lui, egli spinto da un naturale movimento esclamava: Dolce zefiro! verrà un giorno, che io ti respirerò di nuovo in libertà! Riserva i freschi tuoi aliti per quella sera deliziosa in cui sarò libero al pari di te! Ed ora egli sentiva lo spirare di zefiro e non proferiva accento. Il garrir degli augelletti, lo strepito che cadendo produce la pioggia, il fischio del vento, cose tutte, che in addietro egli udiva con trasporto, perchè gli richiamavano alla fantasia la natura, ora non facevano più in lui alcun effetto.

Talvolta egli ascoltava con un mesto ed orribil piacere le grida de’ suoi miserabili compagni. Egli insensibilmente era divenuto sudicio, trascu-