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trato, e indi chiuso il tubetto di ottone. Raccolto allora immediatamente il sangue venoso che retrocedeva dall’intestino si rinvenne carico di acido idrocianico. Intanto l’animale non dava segno di avvelenamento benchè fossero intatte le diramazioni nervose ed i vasi linfatici spettanti all’ansa intestinale. In un altra esperienza dello stesso Panizza in vece di allacciare e di aprire il tronco venoso del pezzo dell’intestino, nel mentre che l’acido idrocianico si versava, non si faceva che comprimere il tronco venoso in cui mettevan capo le venette dell’ansa. Non comparve segno di avvelenamento; fu tolta la compressione e dopo poco i segni dell’avvelenamento comparvero, e tagliata la vena si trovò il sangue carico di acido idrocianico. Infine in una terza esperienza lo stesso Panizza toglieva con diligenza quanti vasi linfatici e nervi vi sono nell’ansa e l’acido introdotto non tardò ad avvelenar l’animale purchè la vena fosse rimasta intatta.

L’assorbimento venoso è dunque un resultamento evidente di esattissime esperienze.

Che per mezzo dei vasi linfatici si faccia l’assorbimento è un fatto troppo noto ed evidente. Uccidete ed aprite un animale qualunque, due tre ore dopo averlo cibato, scopritegli le intestina, esaminate con attenzione il mesenterio, e scorgerete i vasi chiliferi ripieni d’un liquido lattiginoso analogo a quello che vedrete scolare in abbondanza dal condotto toracico che è il tronco principale dove sboccano questi vasi. Questo liquido è il chilo che per l’atto della digestione si formò nell’intestino in cui fu assorbito dai vasi chiliferi.

Quanti esempi non ha l’Anatomia patologica, nei quali si rinvennero i vasi linfatici ripieni di pus in prossimità di parti colpite da ascessi? Assorbon dunque i vasi chiliferi e i linfatici. In una parola l’assorbimento si opera sempre che si immagina un vaso a pareti organiche, un