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tere, di donna Clara e di Margherita, si toccavano. E mentre riaccendeva la sigaretta spenta, don Francesco vedeva nel bianco, finissimo fumo una bella testa bruna coronata di fiori d’arancio, ma portante negli occhi neri una insanabile disperazione, vedeva una testa bionda, dai biondi e smorti capelli, dalle labbra scolorate, una testa macchiata di sangue, dalle palpebre livide e dalla bocca chiusa per sempre. Egli suonò di nuova e chiese al cameriere:

— Sapete a quale ore parte il diretto, per Torino?

— No, Eccellenza; ma ora glielo saprò dire.

Col dito mignolo, il principe scuoteva la cenere dalla sua sigaretta, pensoso, ma tranquillo: pure, innanzi agli occhi, vedeva sempre un profilo di fanciulla bruna, profilo purissimo, ma pieno di malinconia, come assottigliato e consumato da un malore spirituale: vedeva sempre una linea vaga, di fanciulla bionda e gracile, vestita di bigio, che saliva, lentamente, a una immensa montagna bianca, per uno stretto e ruinoso sentiero.

— Alle due e cinquanta, Eccellenza — disse, rientrando, il cameriere.