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30 | matilde serao |
dodici, oggi, andiamo al Municipio; alle nove di questa sera alla chiesa di sant’Agostino: alle dieci, al tempio protestante. Non venite in nessuno di questi posti, partite per Maccarese, per Nizza, restate chiuso nella vostra casa, ma non apparite. Se venite, io do in un urlo di gioia, e vengo a buttarmi nelle vostre braccia. È uno scandalo enorme. È la rovina di dieci, di quindici persone. Addio, Francesco. Perchè mi avete detto che mi volevate bene? Forse non era vero. Forse ho sognato. Oh, la voce vostra! Se la sentissi, dal paradiso, nell’inferno, verrei a dannarmi con voi. È un’eresia, un sacrilegio, quello che ho scritto. Come avete guastato la mia esistenza! Ma non importa, mi avete detto che mi volevate bene. Addio, addio. Metto qui il mio nome di fanciulla per l’ultima volta. Nella prima lettera che scriverò, dopo di questa, sarò la principessa di Schillingfurst. È atroce. Addio — Clara.»
Don Francesco aveva letto la lunga lettera, con molta attenzione, ma senza che la sua fisionomia dimostrasse nessuna impressione. Dopo, per un momento, stette a guardare i fogli sottili, pieni zeppi di quei caratteri, sor-