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dualismo | 207 |
chese si strinse nelle spalle, per la medesima ragione. Una sera, al San Carlo, nel palchetto della contessa fu presentato il marchese, da un amico: furono scambiate poche parole e delle più semplici, di quelle che non sono nel vocabolario della gente di spirito. Ernesto se ne andò subito, sorridendo ironicamente sulle fame usurpate e Flavia chiese a sè stessa, se doveva aggiungere un nome alla categoria degli esseri inutili e sciocchi, già così larga in mezzo alle sue conoscenze. Così quando s’incontravano, un po’ dappertutto, al teatro, ai circoli, alle feste, alle passeggiate, scambiavano un certo saluto sdegnosetto, senza cercare di avvicinarsi o di conoscersi meglio.
Ma il caso che, lungi dall’essere una persona di spirito, ha estimazioni perfettamente stupide, li fece incontrare e star vicini, per forza, al matrimonio di una cugina di Flavia con un amico di Ernesto. Si rassegnarono a sopportarsi scambievolmente. Ognuno pensò a sostenere bene le proprie attribuzioni, tanto per non sfigurarci: e giù di lì una conversazione a paradossi, a botticine, domande bizzarre, a risposte bislacche, ad assurdità stupende, un fuoco di artificio che finì per istordire i due pirotecnici, per metterli in uno stato di nervosità, fuori delle loro abitudini. «Che uomo spiritoso e antipatico! ma io