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do-fulva, la barbetta fulva aristocratica, sessantamila lire di rendita e nessun indizio di moglie. Egli corteggiava con una certa noncuranza graziosa tutte le signore, ballava quando gli altri giuocavano, non coltivava il genere ballerina, guidava sempre lui i suoi cavalli, non portava fiori all’occhiello, non proteggeva le belle arti, non amava la musica, prestava del denaro ai suoi amici intimi, non aspirava ad essere deputato, amava le montagne come un alpinista platonico, non aveva tendenze letterarie, non scriveva mai lettere di amore, era sempre innamorato e non era mai innamorato. A torto o a ragione, Ernesto Carafa era chiamato un uomo di spirito.

Questi due esseri eccezionali cominciarono naturalmente come cominciano tutti per conoscersi. Poi qualche amica di Flavia le disse: «Quel Carafa è proprio un uomo di spirito, perchè non te lo fai presentare?» E gli amici di Ernesto: «Conosci tu la contessa Adorno? Una donna di spirito, caro». E questi qui, tre, quattro, venti volte, in modo che Flavia n’era seccata, ed Ernesto n’era infastidito. Si videro ad una passeggiata e si guardarono con una curiosità mal celata, come due bestie rare, ma la contessa non iscoprì nulla di straordinario ed il mar-