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affetto; ed ella era conscia, superba di questo amore cieco, animato dalla più fiera gelosia. Quando Flavia era al ballo, sapeva che nella strada buia e solitaria vi era un uomo che fremeva d’impazienza, che invidiava anche l’ultimo servo di quella casa inondata di luce. E nelle sale dorate, tra gli ondeggiamenti delle stoffe ed i sorrisi delle donne, essa, presa da una folle idea, avrebbe voluto lasciar tutto, fuggire per le scale, gettarglisi al collo e dirgli: Ti amo; portami via.

Quando pensava alla vita stentata e meschina di Everardo, alla piccola e bassa camera dove l’inverno si moriva di freddo, alle privazioni continue cui andava soggetto, a tutti quei particolari spaventosi della miseria, provava per quel giovane una grande ammirazione, perchè in mezzo a quell’ambiente egli rimaneva poeta, pieno di fede, carezzando sempre le speranze, sognando ancora il suo ideale. Flavia si sentiva molto umiliata davanti a quel coraggio, essa che non poteva rinunziare al fastoso e vuoto lusso, ai gioielli inutili, alle mode costose: come le odiava tutte queste cose, come le odiava! Avrebbe voluto rinunciarci, castigare il suo corpo che viveva in quelle mollezze, esporsi al freddo, alla fame, e portare anche lei nel cuore quel te-