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commedie di salone | 197 |
ne dei gusti più raffinati, la calma profonda e sicura della ricchezza, l’infinita e varia lusinga del lusso. Leone era la pace, la gioia tranquilla, la vita quieta. E nella certezza dell’amore di Leone essa cullava, addormentava il suo cuore.
Ad un tratto avveniva rapidissimo il risveglio: tutto il suo essere dava in un grande sbalzo, scosso da una forza interna; si alzava, camminava, avrebbe voluto spezzare qualche cosa fra le mani, si sentiva la testa troppo piccola. Sorgevano pensieri tumultuosi e cozzanti tra loro, idee vaste ed ardite, un bisogno chiarissimo di agitazione, di attività, di combattimento. Allora intendeva quanto di sublime ha il silenzioso lavoro del poeta e del pensatore; comprendeva come l’arte possa essere l’unico supremo desiderio di un uomo, intendeva la sfrenata ambizione di gloria; essere in basso, essere povero, sconosciuto, perduto nella folla, atomo ignoto di una massa enorme, ed intanto guardare in alto, elevarsi, salire, sfolgorare, essere il solo, l’individuo: Everardo. Con lui la passione energica, onnipossente; un amore che sia l’amore unico, che domini tutto, che vinca ogni ostacolo, che consoli ogni sconfitta, che ingrandisca ogni vittoria. L’oscuro poeta adorava la nobile fanciulla che discendeva dalla sua altezza a bearlo del suo