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commedie di salone 193


imponeva alcun obbligo. La gente attorno mormorava: Una bella coppia! I parenti non dicevano di no.

Nel caso di Flavia la fatalità si chiamava Everardo, ed abitava al quinto piano del palazzo, dove dimorava anche essa. L’intelligente lettore avrà capito che si tratta d’un poeta, ed è la verità; ma debbo aggiungere, per diminuire la cattiva impressione, che i suoi versi erano buoni, sebbene non fossero letti da alcuno. Egli apparteneva ad una classe che si trova numerosa in tutti i grandi centri; poichè in tutti i grandi centri giunge ogni anno una schiera di giovani buoni e volonterosi. Hanno la testa piena di meravigliose fantasie e di progetti stupendi, il cuore riboccante di affetti ed il borsellino poco riboccante di scudi; al povero e buon papà rimasto in fondo al suo paesello hanno promesso chi di frequentare Cujacio, chi di presentarsi ad Euclide, chi di annodare stretta relazione con Tiesot ed Orfila. Promesse; ma vengono i poetici allettamenti delle lezioni della letteratura, ci si mettono in mezzo le associazioni giovanili, i circoli letterari, le vivaci discussioni sull’arte; tutto questo fermenta insieme agli ardimenti dei venti anni. Allora... allora si forma la classe degli spostati e ne vien fuori il giovane pallido, scetti-