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Bastava alla felicità di Leone che Flavia gli inviasse ogni mattina un bigliettino roseo, con tre righe di un caratterino delicato, dove ci fosse il programma della giornata; bastava che al momento dell’incontro fortuito, ella lo salutasse, con quel tale inchino della testa accordato a lui solo; bastava che al ballo gli serbasse sempre il primo valzer; che prima di prendere una grave decisione, come la disposizione di una sala, i colori di un abito, una gita in campagna, egli fosse interrogato in proposito. Pel resto la lasciava libera, non esigeva nulla: egli era guidato sempre dal timore del ridicolo, teneva moltissimo alle apparenze e non voleva fare la brutta figura dell’amante geloso; non si adombrava punto dei numerosi ammiratori che circondavano Flavia, anzi dirò che ne provava una specie di contento; sapeva che il mondo lo sapeva e questo era sufficiente a rassicurarlo.

Anche la fanciulla si contentava facilmente: trovarlo esatto ai ritrovi, sempre il primo, ascoltare quelle dolci parole ch’egli sapeva dire così bene, vedergli all’occhiello il fiore simile a quello che ella portava nei capelli, imporgli ogni tanto qualche lieve capriccetto, vederlo ubbidire con un grazioso sorriso: ricevere quella corte seminascosta, squisita, deliziosa, che non le