Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
190 | matilde serao |
liti quattro salti; di autunno le piaceva la campagna con le escursioni sulle colline, il latte fresco, le serotine partite di scacchi, la vendemmia ed il fieno; l’inverno la inebriava coi teatri e le veglie prolungate. Passava senza intervalli per la fiera di beneficenza, lo skating, i coriandoli e le prediche al Gesù Nuovo. Stava bene dappertutto. Una natura felice se mai ve ne furono; una gioventù fresca, bionda, azzurra, serena: due uomini l’amavano, essa li amava ambidue, ma non si faceva rimproveri. Era la fatalità, l’ananke, per dirla in greco.
Il primo — per epoca — era un giovanotto, un po’ parente, un po’ amico della famiglia di Flavia; di condizione uguale per ricchezza e per nobiltà; rispondeva al fiero nome di Leone, e, quasi a mantenerne intero il significato, era aristocratico, fino ai capelli. Nè qui si tratta del solito tipo di cretino fannullone e gonfio, vecchio da quanto il mondo, tipo perfettamente ingiusto: Leone, cuore ed ingegno ne aveva, non in modo eccezionale, ma ne aveva, e se li sottometteva alle leggi della sua società, non bisognava fargliene un torto; ci era nato, non sapeva staccarsene. Era sempre compito, sempre buono ed affabile, con un grazioso sorriso sulle labbra; alcuni lo trovavano troppo eguale. Pure il ri-