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neva poco, non lo vedeva mai, o vedendolo, non lo curava. La domenica ella si recava a sentir messa nella antica chiesa di S. Maria di Costantinopoli, con sua madre, ed egli, pio come tutti quelli che amano, entrava nella chiesa e pregava; poi le due signore andavano a fare una passeggiata ed egli dietro, a dieci passi di distanza, fingendo l’indifferente, ma seguendole come un cane fedele. Pel resto della giornata doveva occuparsi alle prove, correre a casa a prendere un boccone, ritornare al teatro per la rappresentazione di giorno e non uscirne che a mezzanotte: pure a mezzanotte, prima di ritirarsi in casa, stracco morto dalla fatica, oppresso dal caldo, faceva una corsa sino a piazza Cavour, per rivedere un balcone illuminato e qualche volta un’ombra alta e svelta passare dietro le tendine. Questo per settimane intiere, senza variazioni: ma la sua pazienza, quella specie di innata bontà, quella umiltà rassegnata che si contentava di vedere Sofia senza sperare altro, quella voce interna che lo consigliava a smettere, si stancarono. Era giovane, non aveva mai amato, il sangue gli bolliva nelle vene e gli sconvolgeva il cervello: quell’attesa, quella immobilità gli divennero insoffribili, aveva bisogno di decidersi a qualche cosa, di agire, di muo-