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svelto, pieno di vita, aveva una voce gradevole e conosceva l’arte di modularla. Il padre gli morì presto, ed esso che era figlio unico, gli subentrò, come nei regni costituzionali: recitava bene, era allegro per natura, era giovane; piacque, divenne il beniamino del pubblico. Il suo mestiere non gli dispiaceva, anzi, e lo faceva con un certo trasporto: nel suo cervello non nascevano le idee dell’arte, la missione, la vocazione, la fibra artistica, l’interpretazione, la scuola vecchia, la nuova e simili formule che affliggono gli artisti drammatici — niente di tutto questo. Sibbene, così alla grossa, egli comprendeva che quegli spettatori della platea e del lubbione erano popolo, quel popolo che soffre, che lavora, che stenta a che quando può disporre di pochi soldi va al teatro per dimenticare nel riso i guai della vita — e nel suo cuore di popolano, si consolava di dover essere lui ad alleviare, a sollevare, a rallegrare il suo prossimo, quando si metteva la maschera e stringeva la vagina del suo camiciotto, si sentiva il cuore leggero, diventava gaio per la gaiezza che avrebbe data altrui; quando una intiera platea scoppiava in una risata omerica, egli gongolava dal contento, come chi abbia fatto una buona azione.

Per lo più, prima che cominciasse la rappre-