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forbici senza farle stridere, sussurrando paroline di amore alle piccole camicie, alle cuffiettine, baciandole e profumandole. Fu lei che ricamò il lungo abito di battesimo, lei che imbottì e cucì il cuscino di raso azzurro, coperto di una trina delicata, dove il bimbo avrebbe appoggiata la testolina; fu lei che trapunse il mantello di casimiro bianco, foderato di seta. Per un mese si occupò della culla che riuscì un vero nido di piume, di nastri e di merletti, un nido bianco, morbido, dove egli sarebbe stato calduccio calduccio. E per quando egli sarebbe giunto, ella sognava nuovi cambiamenti; avrebbe modificata la severa casa, l’avrebbe resa piacevole ed allegra; nei vasi dorati del salone dove ora s’ingiallivano, e s’impolveravano grossolane rose di mussola, vi sarebbero veri e bei fiori: i quadri spaventosi, rossi e gialli, sarebbero surrogati dalle chiare oleografie dove vari bambinetti festanti ruzzavano nei prati; ci voleva un’uccelliera sul terrazzo, perchè la voce degli uccelli si unisse nel trillare a quella di lui. Molte cose si potevan far venire dalla capitale, era facilissimo: bastava scrivere, e le mille eleganze, di cui in provincia non si conosce neppure il nome, sarebbero giunte a circondare di benessere il piccolino. Dunque si affrettasse il tempo nel suo