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silvia | 145 |
riso ed esse sbocciarono come una rosa; i capelli duri, tesi, senza grazia, ricaddero mollemente sul collo ondulandosi; la linea rigida ed energica del mento s’incurvò. Il collo esile diventò pieno con lento battito di vita, la persona parve formarsi e completarsi, le mani si fecero bianche e trasparenti, mentre alle tempia si scorgeva quell’ombra leggera che è il segno sacro della maternità.
Col piccino che portava nel seno era nata anche lei; il primo palpito di quella piccola esistenza era stato simile alla forte voce di Gesù, che fa sorgere dal sepolcro Lazzaro quatriduano. Il suo passato, pesante, triste, nero, si era annegato nella luce, ed ella si trovò compresa da una felicità grandissima. Obliò tutto, la vigilanza, le cure di casa, il marito, il padre: cedette le chiavi ad una zia e trascorse le giornate nella sua stanza, distesa in atto di abbandono nella sua poltrona, le mani inerti, le labbra vagamente sorridenti e gli occhi pieni di visioni. A chi le parlava, rispondeva con voce commossa, dove vibravano toni di tenerezza fino allora a lei sconosciuti; le sue parole erano dolci e gioconde, i suoi moti lenti e carezzevoli; camminando, il corpo ondeggiava in una linea sinuosa. Rivolgeva attorno, anche alle persone estra-