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di rendita di dieci lire e deporre sulla fredda mano di lui un bacio gelato per ringraziamento. A Pasqua ed a Natale, Silvia doveva scrivere ai parenti lontani quelle sciocche ed inutili lettere di felicitazioni, sempre le stesse frasi; al principio dell’inverno e dell’estate scriveva ad una sarta della capitale perchè le mandasse un abito ed un cappello, lasciando a lei la scelta del taglio e del colore; l’abito arrivava ed era chiuso nell’armadio, per uscirne solo la domenica, quando Silvia andava alla messa, la seconda messa, ascoltata in chiesa da poche devote. Essa leggeva nel suo libro le parole di preghiera che non trovavano alcuna eco nell’anima; la messa finiva, un gran segno di croce, ed a casa un’altra volta. Erano questi i suoi doveri; essa non trovava gusto nè noia in alcuno di essi: la carità, la fede, l’amore, il sacrificio, la lasciavano fredda. Perfino — orribile a dirsi in una donna — perfino la vanità era spenta in lei.

Le variazioni di questa vita erano pochissime ed anche brevi. Qualche visita alla sua vecchia matrina che le donava una manata di quei confetti a cornetti duri, bianchi, con un bastoncino di cannella dentro; qualche immenso lavoro ad uncinetto che solo le fanciulle provinciali osano affrontare, cioè fazzoletti di merletto per garan-