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dici anni, e la trovarono grave, misurata, parca di parole e di sorrisi; lasciò la scuola ed ebbe, con le chiavi, il governo della casa.

Silvia se ne occupava con molta esattezza, ma senza una soverchia premura: andava, veniva dal terrazzo al granaio, dal granaio in cucina, dalla cucina nelle camere, senza mai affrettare il suo passo, non dimostrando mai alcun fastidio, non andando mai in collera, non alzando mai la voce. Era una figura alta e magra, vestita di grigio o di nero invariabilmente, coi goletti di tela, bianchissimi, diritti, puritani, col grembiule nero, con gli stivaletti di brunella nera dai tacchi bassi, perchè non facessero rumore; per unico ornamento un piccolo paio di orecchini in oro. Il suo volto di un pallore opaco e malaticcio, gli occhi neri senza splendore, i capelli oscuri, tirati e stretti sulla nuca, le labbra sottili e sbiancate, non serbavano alcuna traccia di gioventù. Nella serenità invadente dell’alba, nel pieno sole del pomeriggio, nella luce incerta del crepuscolo, sotto il lume quieto della lampada, Silvia era sempre la stessa: magra, pallida, fredda, senza attrattive, incapace di desiderarne, provinciale. Ma non soffriva — ella non conosceva e non voleva conoscere, non immaginava nulla di diverso, non fantasticava, non