ra, ricordava le figure severe ed accigliate dei nonni che le mettevano paura, i volti volgari e le voci grossolane degli zii, sempre pronti a sgridarla, la ciera pallida e noncurante di un padre egoista che non la baciava mai. La casa era triste, vecchia, e vi si parlava sottovoce e i mobili antichi, grandi e angolosi, assumevano nell’ombra forme spaventose; nei quadri dove si contemplavano le battaglie del primo Napoleone, dominava il rosso acceso, come se ancora il sangue vi scorresse; mai altri fanciulli, mai giuochi, mai risa, mai un viso giovane, mai qualcuno che le parlasse della madre, morta troppo presto. La bambina andava a scuola da due zitellone barbute che le facevano imparare interminabili brani di storia sacra, ed eseguire lunghi e monotoni lavori a maglia; a casa il pranzo taciturno, lo studio sotto gli occhi di una serva brontolona, le orazioni ed il letto. Sempre lo stesso metodo, sempre le stesse persone, sempre le stesse cose. Allora nell’anima crescente di Silvia s’impresse la tinta oscura ed eguale dell’ambiente in cui viveva; tutti i sentimenti freschi e giovanili si spensero sul nascere; i suoi nervi furono ammolliti, dominati, vinti; nel suo corpo, nel suo viso vi fu qualche cosa di troppo vecchio, di troppo saggio. Vennero i suoi se-