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ore, dormire di quel sonno pesante e morboso che lascia le membra spossate, la bocca amara e la mente confusa. Solo Silvia rimaneva seduta dietro i vetri del suo balcone: aveva rialzata la stretta tendina ingiallita, appuntandola con uno spillo per non lasciarla ricadere, ed immobile, le mani incrociate sulle ginocchia, la testa appoggiata allo sportello di legno attendeva con impazienza che le ore trascorressero. Ma in quel posto non l’aveva attirata lusinga di gaio o di mesto spettacolo; Silvia non guardava nella strada, non rivolgeva gli occhi all’ultima linea di verde che confinava con l’orizzonte, nè li alzava al cielo crepuscolare: queste cose, come tutte le altre, non la interessavano punto. Era venuta là per abitudine, senza noia e senza diletto, per la medesima ragione che la facea alzare alle sei di mattina e coricarsi alle undici di sera. Da trentadue anni, nel pomeriggio, stava seduta dietro i vetri del balcone — e tutta la sua vita passata era rappresentata da una fredda e indifferente abitudine.

Pure essa era stata bambina, adolescente, giovinetta; la sua parte di sorriso e di gioia aveva dovuto averla; invece se rivolgeva lo sguardo indietro, sugli anni fuggiti, non iscorgeva che una superficie bigia ed uniforme. Piccina anco-