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126 | matilde serao |
sprezzo l’umile e piccola cicoria, raccolta in gruppetti, su cui brillano le goccie dell’acqua; i cavoli bianchi, grossi e serrati, pare che vogliano scoppiare dal loro involucro di foglie verde-chiaro, mentre quelli neri si confondono con l’oscurità, quasi desiderosi di solitudine. L’ondulazione dei lumi, al passaggio delle persone e dei carri, il getto improvviso di un razzo, l’ombra che sopraggiunge, danno a questo spettacolo qualche cosa di fantastico: le proporzioni s’ingrandiscono, il senso della realtà si perde e vi sembra di camminare in mezzo ai prati di maggiorana e di trifoglio, fra due siepi di verdura, mentre in fondo, come orizzonte, si accende la fiamma gialla di una piramide di aranci, ricordo dei tramonti siciliani. Vi giunge al cervello il profumo acuto delle mele, capace di ubbriacare; quello più dolce, quasi più vecchio delle pere serbate per l’inverno e l’effluvio sottile, leggero ed esilarante dei mandarini; quando un odore più forte, più sano, li scaccia tutti per prenderne il posto e regnare solo.
Si entra nella dominazione del mare; nei cestellini frangiati di alighe, che somigliano ai capelli disciolti di una bella naiade morta, fremono, si contorcono, si annodano le anguille dai dorsi bruni, dalle pance smorte, mentre le ara-