in due, sino a Napoli; pensarono per un momento al suicidio, ma trovarono che non risolveva le difficoltà. Poi a lungo andare il loro amore divenne sistematico, le imprecazioni furono sempre le medesime ed essi non poterono andare a letto senza aver versato sulla fedele carta, la piena del loro dolore. Nel paese non si parlava che del loro incrollabile amore e dei loro tormenti; erano l’oggetto dell’interesse generale; se giungeva un napoletano, lo conducevano a veder le rovine dell’anfiteatro e gli narravano il caso di Carlo e Maria. Quindi i due giovanotti, carezzati nel loro amor proprio, si atteggiavano ad un contegno di circostanza. Maria era pallida sempre, con un’aria malinconica, non sorridendo mai, parlando sempre alle amiche dei suoi giorni senza gioia, rifiutando di divertirsi, contenta di somigliare tal quale ad una eroina del Mastriani. Carlo andava a fare certe passeggiate solitarie, era sempre di pessimo umore; ai balli non si moveva mai da un angoluccio, contento che intorno ad esso si mormorasse: Povero giovine, quell’amore sfortunato gli rattrista la vita! Nei circoli, nelle festicciuole, nelle visite, con la monotonia instancabile della provincia, ritornava sempre il discorso dei due amanti, e chi avesse qualche notizia fresca su lo-