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vuol prendere per mozzo un fanciullo di dodici anni, dandogli solo da mangiare; sono molto contente, quando un mastro di bottega lo piglia, facendolo lavorare come un cane e dandogli solo la minestra, la sera; la pietosa madre gli dà un soldo per la colazione, la mattina.

Le sarte, le modiste, le fioraie, le bustaie prendono per apprendiste delle fanciullette dodicenni, che sono, in realtà, delle piccole serve e che guadagnano cinque soldi la settimana! Ma, per lo più, queste creature restano a casa o nella strada, tutto il giorno.

Nelle campagne, il figlio è una gioia, è un soccorso, è una sorgente di agiatezza; in Napoli, rappresenta una cura di più, una pena materna, una sorgente di lagrime e di fame.

Sentite un poco quando un’operaia napolitana nomina i suoi figli. Dice: le creature, e lo dice con tanta dolcezza malinconica, con tanta materna pietà, con un amore così doloroso, che vi par di conoscere tutta, acutamente, la intensità della miseria napoletana.