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quali lo seminano nelle case, nelle officine, nelle altre osterie, fino nelle chiese.

La serva del quinto piano, a destra, giuoca, sperando di non far più la serva; ma tutte le serve, di tutti i piani, giuocano, tanto la cameriera del primo che ha lire trenta il mese, quanto la vajassa del sesto, che ne prende otto, con la dolce speranza di uscir dal servizio, così duro; e si comunicano i loro numeri, fanno combriccola sui pianerottoli, se li dicono dalle finestre, se li telegrafano, a segni. La venditrice di frutta, che sta sotto il sole e sotto la pioggia, giuoca, e dal suo angolo di strada, in giù, la moglie del sarto che cuce sulla porta, la moglie dello stagnino affogata dal fetore del piombo, la lavandaia che sta tutto il giorno con le mani nella saponata, la venditrice di castagne che si brucia la faccia e le mani al vapore e al calore del fornello, la venditrice di noci che ha le mani nere sino ai polsi per l’acido gallico, tutte queste donne credono nel lotto, giuocano fedelmente, ardentemente, al lotto.

Nella stanza stretta, dove otto o dieci ragazze lavorano da sarte, e il bimbo della sarta dorme nella culla e in un angolo frigge il lardo nel tegame sul focolare, una dà i numeri, una seconda