Tutto si fa, nelle piazzette, nei vicoletti: tutti
vendono il vendibile, erbe, frutta, carne, pesci,
nel fango eterno della strada; e vi sono le antiche
osterie, ancora, ove si vendono, le zuppe di
pasta e fagioli, le fritture di cento cose fritte, dai
panzarotti ai peperoni, le insalate di scapece, il
soffritto, a porzioni di tre soldi, di due soldi, persino di un soldo. Come un tempo! Peggio di un
tempo! A dieci passi dal Rettifilo, caldaie di patate, caldaie di polipi, caldaie di spighe bollite,
caldaie di castagne, e il più acre odore, intorno,
da queste cucine, dalle piccole fucine degli orefici
e degli armaioli, dalle marmitte dei tintori! Pieno
di colore? Già: ma orribile! Io rammento tre
punti, fra gli altri. Una piccola regione chiamata
Tentella: cioè, un intrico quasi verminoso di vicoletti
e vicolucci, nerastri, ove mai la luce meridiana
discende, ove mai il sole penetra, ove per
terra la mota è accumulata da anni, ove le immondizie
sono a grandi mucchi, in ogni angolo,
ove tutto è oscuro e tutto è lubrico, ove, a un
crocicchio, vi è una ostessa dai folti capelli neri,
a un crocicchio, donde, in una penombra, si vede
ancora il fondaco Tentella, una ostessa che vende
ogni sorta di mangiare, in grandi piatti di rame