Maria Civita, un’altra ballerina, egualmente sfortunata ma che aveva un amante a Napoli, il quale, per trarla d’imbarazzo, le mandò un vaglia postale di venti lire: pagare il vitto, sino a fine mese, a un oste di Castellammare e tornarsene a casa, in terza classe, avendo rovinato due paia di scarpini da ballo sul palcoscenico di quella barracca e macchiata di sudore, sotto le ginocchia, la sua migliore maglia. Fra la catastrofe di Castellammare e un penoso mese di ottobre, senza scrittura, gran parte delle economie, delicate alla corona di fiori freschi, si venne dileguando, mentre Carmela Minino si sentiva stringere il cuore, sem-