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— Sì, sì, va bene; sta a vedere ora che devo anche pregarvi? Come se non l’avessi sulle spalle la vostra chiusa... come se il garante non fossi io...
Così brontolando tutti e due andarono a cercare Pirtuso, che stava al Fosso, laggiù verso San Giovanni. Mastro Lio stava mangiando quattro fave, coll’uscio socchiuso.
— Entrate, entrate, don Gesualdo. Benedicite a vossignoria! Ne comandate? volete restar servito? — Poi come udì parlare della chiusa che Burgio avrebbe voluto appioppare a un altro, di allegro che era si fece scuro in viso, grattandosi il capo.
— Eh! eh!... la chiusa del Purgatorio? È un affar serio! Non la vogliono neanche per pascolo.
Burgio s’affannava a lodarla, terre di pianura, terre profonde, che gli avevano dato trenta salme di fave quell’anno soltanto, preparate a maggese per l’anno nuovo!... Il cognato tagliò corto, come uno che ha molta altra carne al fuoco, e non ha tempo da perdere inutilmente.
— Insomma, mastro Lio, voglio disfarmene. Fate voi una cosa giusta... con prudenza!...
— Questo si chiama parlare! — rispose Pirtuso. — Vossignoria sa fare e sa parlare... — E adesso ammiccava coll’occhietto ammammolato, un sorrisetto malizioso che gli errava fra le rughe della bazza irta di peli sudici.