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lontano, nella vasta campagna solitaria. Insieme all’acre odore di polvere che dileguava, andava sorgendo un dolce odor di garofani; passava della gente cantando; udivasi un baccano di chiacchiere e di risate nella sala, vicino a loro, nello schianto di quell’ultimo addio senza parole.
Nel vano luminoso del balcone passò un’ombra magra, e si udì la tosserella del marchese Limòli:
— Eh, eh, ragazzi!... benedetti voialtri!... Sono venuto a veder la festa... ora ch’è passata.... Bianca, nipote mia... bada che l’aria della sera ti farà male....
— No, zio, — rispose lei con voce sorda. — Si soffoca lì dentro.
— Pazienza!... Bisogna sempre aver pazienza a questo mondo.... Meglio sudare che tossire.... Tu, Nino, bada che le signore Margarone stanno per andarsene.
— Vado, zio.
— Va, va, se no vedrai che denti! Non vorrei averli addosso neppur io!... E sì che non posso fare lo schifiltoso!... Che diavolo gli è saltato in corpo a tua madre, di farti sposare quei denti?...
— Ah... zio!....
— Sei uno sciocco! Dovresti lasciarle fare il diavolo a quattro quanto le pare e piace, a tua madre!... Sei figlio unico!... A chi vuoi che lasci la roba dopo la sua morte?