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— Ma che sciocchezze!... Chi ve le dà a bere, don Calogero? La statua è di cartapesta... una brutta cosa!... I topi ci hanno fatto dentro il nido.... Le gioie?... Eh! eh! non arricchirebbero neppur me, figuratevi! Vetro colorato... come tante altre che se ne vedono!... un fantoccio da carnevale!... Eh? Cosa dite?... Sì, un sacrilegio! Il mastro che fece quel santo dev’essere a casa del diavolo.... Non parlo del santo ch’è in paradiso.... Lo so, è un’altra cosa.... Basta la fede.... Son cristiano anch’io, che diavolo!... e me ne vanto!...
La signora Capitana affettava di guardare con insistenza la collana di donna Giuseppina Alòsi, nel tempo stesso che rimproverava il marchese: — Libertino!... libertino! — Peperito s’era tappate le orecchie. L’arciprete Bugno ricominciò daccapo: — Una statua d’autore!... Il Re, Dio guardi, voleva venderla al tempo della guerra coi giacobini!... Un santo miracoloso!...
— Che c’è di nuovo, don Gesualdo? — gridò infine il marchese ristucco, con la vocetta fessa, voltando le spalle all’arciprete. — Abbiamo qualche affare in aria?
Il barone Zacco si mise a ridere forte, cogli occhi che schizzavano fuori dell’orbita; ma l’altro, un po’ stordito dalla ressa che gli si faceva attorno, non rispose.