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ghiozzando di no, di no, colle mani erranti che l’accarezzavano. L’accarezzò anche lui sui capelli, lentamente, senza dire una parola. Di lì a un po’ riprese:

— Ti dico di sì. Non sono un ragazzo... Non perdiamo tempo inutilmente. — Poi gli venne una tenerezza. — Ti dispiace, eh?... ti dispiace a te pure?...

La voce gli si era intenerita anch’essa, gli occhi, tristi, s’erano fatti più dolci, e qualcosa gli tremava sulle labbra. — Ti ho voluto bene... anch’io... quanto ho potuto... come ho potuto... Quando uno fa quello che può...

Allora l’attirò a sè lentamente, quasi esitando, guardandola fissa per vedere se voleva lei pure, e l’abbracciò stretta stretta, posando la guancia ispida su quei bei capelli fini.

— Non ti fo male, di’?... come quand’eri bambina?...

Gli vennero insieme delle altre cose sulle labbra, delle ondate di amarezza e di passione, quei sospetti odiosi che dei bricconi, nelle questioni d’interessi, avevano cercato di mettergli in capo. Si passò la mano sulla fronte, per ricacciarli indietro, e cambiò discorso.

— Parliamo dei nostri affari. Non ci perdiamo in chiacchiere, adesso...

Essa non voleva, smaniava per la stanza, si cacciava le mani nei capelli, diceva che gli lacerava il