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lo colse a quell’indifferenza. Insisteva, voleva disporre della sua roba, come per attaccarsi alla vita, per far atto d’energia e di volontà. Voleva far testamento, per dimostrare a sè stesso ch’era tuttora il padrone. Il duca finalmente, per chetarlo, gli disse che non occorreva, poichè non c’erano altri eredi.... Isabella era figlia unica....

— Ah?... — rispose lui. — Non occorre.... è figlia unica?...

E tornò a ricoricarsi, lugubre. Avrebbe voluto rispondergli che ce n’erano ancora, degli eredi nati prima di lei, sangue suo stesso. Gli nascevano dei rimorsi, colla bile. Faceva dei brutti sogni, delle brutte facce pallide e irose gli apparivano la notte; delle voci, degli scossoni lo facevano svegliare di soprassalto, in un mare di sudore, col cuore che martellava forte. Tanti pensieri gli venivano adesso, tanti ricordi, tante persone gli sfilavano dinanzi: Bianca, Diodata, degli altri ancora: quelli non l’avrebbero lasciato morire senza aiuto! Volle un altro consulto, i migliori medici. Ci dovevano essere dei medici pel suo male, a saperli trovare, a pagarli bene. Il denaro l’aveva guadagnato apposta, lui! Al suo paese gli avevano fatto credere che rassegnandosi a lasciarsi aprire il ventre.... Ebbene, sì, sì!

Aspettava il consulto, il giorno fissato, sin dalla mattina, raso e pettinato, seduto nel letto, colla faccia color di terra, ma fermo e risoluto. Ora voleva