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di un’altra colica. Talchè Diodata se ne andò senza poterlo salutare, a capo chino, stringendosi nella mantellina. Speranza tornò al fratello, tutta amorevole e sorridente.

— Per assistervi adesso ci avete qui noi... Non vi lasceremo solo, non temete... Tutto ciò che avete bisogno... Comandate. Che ne fareste adesso di quella strega? Vi mangerebbe anima e corpo. Neanche il viatico potreste ricevere, con quello scandalo in casa!

Lei lo assisteva meglio di una serva, e lo curava con amore, senza guardare a spesa nè a fatiche. Vedendo che nulla giovava, arrivò a chiamare il figlio di Tavuso, il quale tornava fresco fresco da Napoli, laureato in medicina, — un ragazzotto che non aveva ancora peli al mento e si faceva pagare come un principe. — Però don Gesualdo gli disse il fatto suo, al vedergli metter mano alla penna per scrivere le solite imposture:

— Don Margheritino, io vi ho visto nascere! A me scrivete la ricetta? Per chi mi pigliate, amico caro!

— Allora, — ribattè il dottorino infuriato, — allora fatevi curare dal maniscalco! Perchè mi avete fatto chiamare? — Prese il cappello, e se ne andò.

Ma siccome il malato soffriva tutti i tormenti dell’inferno, nella lusinga che qualcheduno trovasse il rimedio che ci voleva, per non far parlare anche i vicini che li accusavano di avarizia, dovettero chinare