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buio, tentoni, arrivarono sino all’uscio di don Ferdinando.

— Chi è? — si udì belare di dentro una voce asmatica. — Grazia, chi è?

— Siamo noi, don Gesualdo, vostro cognato...

Nessuno rispose. Poi si udì frugare nel buio. E a un tratto don Ferdinando si chiuse dentro col paletto, e si mise ad ammonticchiare sedie e tavolini dietro l’uscio, continuando a strillare spaventato:

— Grazia! Grazia!

— Corpo del diavolo! — esclamò Mèndola. — Qui si fa peggio! Quella bestia farà correre tutto il paese!

Il canonico rideva sotto il naso, scuotendo il capo. Grazia intanto aveva acceso un mozzicone di candela, e li guardava in faccia ad uno ad uno, allibbita, battendo le palpebre.

— Che volete fare, signori miei? — azzardò infine timidamente. Don Gesualdo, che non si reggeva più in piedi, pallido e disfatto, proruppe in tono disperato:

— Io voglio tornarmene a casa mia!... a qualunque costo... Sono risoluto!...

— Nossignore! — interruppe il canonico. — Qui siete in casa vostra. C’è la quota di vostra moglie. Ah, caspita! Avete avuto pazienza sino adesso... Ora basta!... Lì, nella camera di donna Bianca. Il letto è ancora tal quale.