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— Volete star zitto! Volete farmi fare la figura di bugiardo?... Se ho detto che non ci siete, per salvarvi la pelle...
Don Gesualdo tornò a ribellarsi:
— Perchè? Che ho fatto? Io sono in casa mia!...
— Avete fatto che siete ricco come un maiale! — gli urlò infine all’orecchio il canonico che perse la pazienza. Gli altri allora l’assaltarono tutti insieme, colle buone, colle cattive, dicendogli che se i rivoltosi lo trovavano lì, della casa non lasciavano pietra sopra pietra; pigliavano ogni cosa; neanche gli occhi per piangere gli lasciavano. Finchè lo indussero a scappare dalla parte del vicoletto. Mèndola corse a bussare all’uscio dello zio Limòli.
Al baccano, il marchese, oramai sordo come una talpa, s’era buttato un ferraiuolo sulle spalle, e stava a vedere dietro l’invetriata del balcone, in camicia, collo scaldino in mano e i piedi nudi nelle ciabatte, quando gli capitò quella nespola fra capo e collo. Ci volle del bello e del buono a fargli capire ciò che volevano da lui a quell’ora, mastro— don Gesualdo più morto che vivo, gli altri che gli urlavano nell’orecchio, uno dopo l’altro:
— Vogliono fargli la festa... a vostro nipote don Gesualdo... Bisogna nasconderlo...
Egli ammiccava, colle palpebre floscie e cascanti, accennando di sì, mentre abbozzava un sorriso malizioso.