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— Ah... cugino!... che c’è di nuovo? Vostra moglie sta bene?... Qui, da me, lo vedete... guai colla pala! Che c’è, mammà? i soliti capricci? Permettetemi, cugino Zacco, devo scendere giù un momento...

Le chiavi stavano sempre lì, appese allo stipite dell’uscio. La paralitica li accompagnava cogli occhi, senza poter pronunziare una parola, sforzandosi più che potesse di girare il capo a ogni passo che faceva il figliuolo, con delle chiazze di sangue guasto che le ribollivano a un tratto nel viso cadaverico. Zacco allora cominciò a snocciolare il rosario contro di mastro-don Gesualdo. — Signore Iddio, me ne accuso e me ne pento! L’ho durata fin troppo con colui! Mi pareva una brutta cosa abbandonarlo nel bisogno... in mezzo a tutti i suoi nemici... Non fosse altro per carità cristiana... Ma via! è troppo... Neanche i suoi parenti possono tollerarlo, quell’uomo! Figuratevi! neanche quello stolido di don Ferdinando!... Si contenta di non uscire più di casa pur di non essere costretto a mettere il vestito nuovo che gli ha mandato a regalare il cognato... Sin che campa, avete inteso? Quello è un uomo di carattere! Infine sono stanco, avete capito? Non voglio rovinarmi per amore di mastro-don Gesualdo. Ho moglie e figliuoli. Dovrei portarmelo appeso al collo come un sasso per annegarmi?

— Ah!... ve l’avevo detto io! Vediamo, via, in coscienza! Cosa era mastro-don Gesualdo vent’anni