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diavolo, per tener d’occhio una casa. — Lasciate fare a Lavinia che sa dove metter le mani. — Dall’altro canto poi faceva il viso brusco se Diodata aveva la faccia di farsi vedere ancora lì, da don Gesualdo, con il fazzoletto nero in testa, carica di figliuoli, di già canuta e curva come una vecchia: — No, no, buona donna. Non abbiamo bisogno di voi! Badate ai fatti vostri piuttosto, chè qui la cuccagna è finita. — Poscia in confidenza spifferava anche delle paternali all’amico. — Che diavolo ne fate di quella vecchia?... Non vi conviene di lasciarvela bazzicar fra i piedi colei, ora ch’è vedova!... Dopo che l’avete avuta in casa anche da zitella... Il mondo, sapete bene, ha la lingua lunga! Poi, quell’altra storia... la morte di suo marito... E’ vero che se lo meritava!... Ma infine è meglio chiudere la bocca alla gente!... Del resto, non avete bisogno di nulla, ora che ci abbiamo qui la mia ragazza.
Lui stesso si faceva in quattro a disporre e a ordinare nella casa del cugino don Gesualdo, a ficcare il naso in tutti i suoi affari, a correre su e giù con le chiavi dei magazzini e della cantina. Gli consigliava pure di mettere a frutto il denaro contante, se ce ne aveva in serbo, caso mai le faccende s’imbrogliassero peggio.
— Datelo a mutuo, col suo bravo atto dinanzi notaio... un po’ per uno, a tutti coloro che gridano