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gran sussurro. Mastro Nardo, al ritorno, portò la notizia.

— Hanno fatto la rivoluzione. C’è la bandiera sul campanile.

Don Gesualdo lo mandò al diavolo. Gliene importava assai della rivoluzione adesso! L’aveva in casa la rivoluzione adesso! Ma Zacco procurava di calmarlo.

— Prudenza, prudenza! Questi son tempi che ci vuol prudenza, caro amico.

Di lì a un po’ si udì bussare di nuovo al portone. Don Gesualdo corse in persona ad aprire, credendo che fosse il medico o qualchedun altro di tutti coloro che aveva mandato a chiamare. Invece si trovò di faccia il canonico Lupi, vestito di corto, con un cappellaccio a cencio, e il baronello Rubiera che se ne stava in disparte.

— Scusate, don Gesualdo... Non vogliamo disturbarvi... Ma è un affare serio... Sentite qua...

Lo tirò nella stalla onde dirgli sottovoce il motivo per cui erano venuti. Don Ninì da lontano, ancora imbroncito, approvava col capo.

— S’ha da fare la dimostrazione, capite? Gridare che vogliamo Pio Nono e la libertà anche noi... Se no ci pigliano la mano i villani. Dovete esserci anche voi. Non diamo cattivo esempio, santo Dio!

— Ah? La stessa canzone della Carboneria? —