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il padre nel cataletto. Nè denari nè nulla giovava più. Allora don Gesualdo si scoraggiò davvero. Non sapendo dove dar di capo, pensò agli amici antichi, quelli che si ricordano nel bisogno, e mandò a chiamare Diodata per dare una mano. Venne invece il marito di lei, sospettoso, guardandosi intorno, badando dove metteva i piedi, sputacchiando di qua e di là:
— Quanto a me... anche la mia pelle, se la volete, don Gesualdo!... Ma Diodata è madre di famiglia, lo sapete... Se le capita qualche disgrazia, Dio ne liberi voi e me... Se piglia la malattia di vostra moglie... Siamo povera gente... Voi siete tanto ricco; ma io non avrei neppure di che pagarle il medico e lo speziale...
Insomma le solite litanie, la solita giaculatoria per cavargli dell’altro sangue. Finalmente, dopo un po’ di tira e molla, s’accordarono sul compenso. Gli toccava chiudere gli occhi e chinare il capo. Nanni l’Orbo, tutto contento del negozio che aveva fatto, conchiuse:
— Quanto a noi siete padrone anche della nostra pelle, don Gesualdo. Comandateci pure, di notte e di giorno. Vo a pigliare mia moglie e ve la porto.
Ma Bianca soffriva adesso di un altro male. Non voleva vedersi Diodata per casa. Non pigliava nulla dalle sue mani. — No!... tu, no!... Vattene via! Che sei venuta a fare, tu? — Irritavasi contro quegli affamati che venivano a mangiare alle sue spalle.