Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 418 — |
pure discretamente. In quella sopraggiunse la serva ad annunziare che c’era il barone Rubiera con la moglie.
— Lui? Ci vuole una bella faccia tosta!... — saltò su il barone cercando il cappello che teneva in testa. — Vedrete che viene a parlarvi di ciò che v’ho detto! Non ci avete un’altra uscita?... per non vederlo in faccia, quella bestia!...
La sua famiglia toglieva commiato in fretta e in furia al pari di lui, cercando gli scialli, rovesciando le seggiole, urtandosi fra di loro, quasi don Ninì stesse per irrompere a mano armata nella camera. La povera inferma, smarrita in quel parapiglia, si lasciò sfuggire con un filo di voce:
— Per l’amor di Dio... Non ne posso più!
— No... Non potete farne a meno, cugina mia!... Sono parenti anch’essi!... Vedrete che vengono apposta, onde approfittare dell’occasione... Finta di farvi una visita... Piuttosto ce ne andremo noi... È giusto... Chi prima arriva al mulino...
Ma i Rubiera non spuntavano ancora. Don Gesualdo andò nell’anticamera, dove seppe dalla serva che aspettavano nel salotto, come avevano sentito che c’erano i Zacco...
— Meglio! — osservò il barone. — Vuol dire che desidera parlarvi a quattr’occhi, don Ninì!... Allora noi non ci moviamo. Restiamo a far compagnia alla cugina, intanto che voi fate gli affari vo-